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Perché Marte è il Pianeta Rosso? Di che colore è veramente?

Marte è solo il "pianeta rosso" o è anche qualcosa di più? Quali misteri si nascondono dietro il suo straordinario colore? Scoprili con noi.

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Giuseppe Guarino

Giuseppe Guarino

Giornalista

Ph(D) in Diritto Comparato e processi di integrazione e attivo nel campo della ricerca, in particolare sulla Storia contemporanea di America Latina e Spagna. Collabora con numerose testate ed è presidente dell'Associazione Culturale "La Biblioteca del Sannio".

Marte, il quarto pianeta del nostro sistema solare, è da sempre noto come il “pianeta rosso“. Gli antichi Egizi, con la loro saggezza millenaria, osservavano il cielo notturno e riconoscevano Marte proprio per la sua caratteristica tonalità rossastra. Questa peculiarità, unita alla sua luminosità relativa, rendeva Marte facilmente individuabile tra le stelle.

Tuttavia, la domanda che molti si pongono è se Marte sia veramente un pianeta rosso o se questa sua tonalità sia, alla fine dei conti, solo un’apparenza. La NASA, l’agenzia spaziale statunitense, ha dedicato tempo ed energia per svelare il mistero dietro il colore di Marte e le ragioni che lo rendono così distintivo. Perché, alla fine, conoscere la vera tonalità di Marte è essenziale per comprenderne meglio la sua natura e la storia del nostro sistema solare.

Quindi, di che colore è veramente Marte? Per rispondere a questa affascinante domanda, esploreremo ciò che dice la scienza e le caratteristiche uniche di questo pianeta, cercando di svelare il segreto dietro la sua affascinante tonalità.

Scopri anche:– Svelata la rivoluzionaria scoperta della NASA: ossigeno su Marte

Perché Marte è chiamato pianeta rosso?

I rover Curiosity e Perseverance ci regalano da anni uno sguardo privilegiato sui meravigliosi paesaggi marziani, caratterizzati da tonalità di rosso-arancio mozzafiato. Ma cosa sta dietro a questo caratteristico colore che contraddistingue il pianeta rosso? La spiegazione è sorprendentemente semplice e affonda le sue radici nella composizione geologica di Marte.

Per capire il mistero del colore di Marte, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo, a circa 4,5 miliardi di anni fa, quando il nostro sistema solare si stava formando. In quegli albori cosmici, molti dei pianeti avevano accumulato considerevoli quantità di ferro, lo stesso elemento che conferisce al sangue e alla ruggine la loro distintiva tonalità rossa. Tuttavia, mentre la maggior parte dei pianeti subì un collasso gravitazionale tale da far sprofondare il ferro nel loro nucleo, le dimensioni più contenute di Marte e la sua minore gravità non lo resero possibile. Pertanto, il pianeta rosso ospita il ferro non solo nel suo nucleo, ma anche in abbondanza nei suoi strati superficiali.

Il ferro puro ha un aspetto nero lucente e assume una sfumatura rossastra solo quando entra in contatto con l’ossigeno in quantità sufficienti per trasformarsi in ossido di ferro, processo comunemente noto come “ruggine“. Gli scienziati sono convinti che il ferro presente su Marte si sia gradualmente ossidato a causa di agenti atmosferici specifici.

Una delle teorie suggerisce che antiche tempeste di pioggia su un “giovane” pianeta Marte possano aver contribuito alla formazione di questo ossido di ferro, colpendo il suolo con atomi di ossigeno liberati dalle molecole d’acqua. Un’altra teoria suggerisce che l’ossidazione sia avvenuta lentamente nel corso di miliardi di anni, con la luce solare che ha decomposto l’anidride carbonica e altre molecole atmosferiche in perossido di idrogeno e ozono.

In questo contesto, il rosso intenso di Marte è il risultato di un processo geologico e atmosferico affascinante che rende il pianeta rosso non solo nel nome, ma anche nella sua affascinante realtà. La sua superficie, ricca di ossido di ferro, continua a incantare e a nascondere segreti dell’universo mentre le missioni spaziali continuano a esplorare questa misteriosa destinazione planetaria.

Perché non si può andare su Marte?

La domanda sul colore di Marte non riguarda solo la sua affascinante tonalità, ma è connessa anche a una visione futura: la colonizzazione di questo pianeta. Da anni, la prospettiva di stabilire una presenza umana su Marte è considerata un passo inevitabile nella nostra evoluzione spaziale. C’è chi dice che sia impossibile, chi che sul pianeta ci sia una sorta di “portale del tempo”.

Ad ogni modo, questa ambizione ha catalizzato l’attenzione delle principali agenzie spaziali del mondo, tutte impegnate nello sviluppo di un piano organico per la creazione di possibili colonie umane “marziane”, nonostante un viaggio verso il pianeta richieda attualmente almeno sei mesi. Altre stime parlano di tempi che vanno dai 7 ai 9 mesi.

Tra le missioni più celebri spicca quella di SpaceX, l’azienda fondata da Elon Musk, che nel 2016 ha svelato ambiziosi piani per il trasporto interplanetario e la costruzione di una colonia permanente su Marte a partire dal 2024. L’obiettivo di Musk è portare il primo essere umano su Marte entro il 2026 e stabilire una colonia autosufficiente di oltre 80.000 persone.

Tuttavia, ci sono molte sfide da superare. Dato il tempo di viaggio dalla Terra, qualsiasi colonia su Marte dovrà essere quasi completamente autosufficiente per fornire aria, acqua, energia e cibo per periodi prolungati. La colonia dovrà essere in grado di replicare attività industriali simili a quelle sulla Terra, il che rappresenta una sfida significativa su un territorio completamente privo di antropizzazione.

Ma, tra tutte le sfide, ce n’è una particolarmente complessa da affrontare: la protezione dell’umanità dalle radiazioni spaziali. A differenza della Terra, Marte non dispone di un campo magnetico forte né di un’atmosfera densa, il che rende essenziale proteggere gli astronauti dai dannosi raggi cosmici e dal vento solare. Le conseguenze dell’esposizione a queste radiazioni sulla salute umana sono ancora poco conosciute e rappresentano un ostacolo da superare nella strada verso la colonizzazione di Marte.

Cosa ha trovato la NASA su Marte?

L’entusiasmo per l’esplorazione di Marte è alimentato dai recenti risultati della NASA, resi noti grazie al Rover Perseverance. Questo instancabile esploratore ha scoperto sulla superficie marziana rocce contenenti molecole organiche, un annuncio che ha suscitato grande interesse tra gli esperti dell’Agenzia spaziale americana.

Secondo la NASA, queste molecole organiche potrebbero rappresentare “una possibile firma della vita” o, in altre parole, essere indizi di una possibile esistenza di vita passata su Marte. Tuttavia, è importante sottolineare che queste molecole organiche potrebbero anche essere state create senza l’intervento di organismi viventi, oppure provenire dalla caduta di asteroidi sulla superficie del pianeta rosso.

L’annuncio è stato fatto nel corso del 2022 durante una conferenza stampa online, in cui la NASA ha presentato i risultati dei primi 18 mesi di attività del Rver Perseverance, atterrato sul cratere Jezero nel febbraio 2021. Il Rover Perseverance è parte della missione Mars 2020, il cui obiettivo principale è raccogliere campioni di roccia e altri materiali dalla superficie di Marte. Questi campioni saranno cruciali per ulteriori studi sulla storia geologica e potenzialmente biologica di Marte, gettando nuova luce sulla possibilità di vita su questo pianeta.

Raggiungere Marte in 26 giorni: la proposta per un viaggio “breve” verso il pianeta rosso

Come abbiamo accennato, ad oggi, il viaggio dalla Terra a Marte richiede almeno sei mesi di tempo. Tuttavia, una soluzione inaspettata potrebbe rivoluzionare l’esplorazione spaziale. Secondo uno studio recentemente pubblicato su Acta Astronautica, l’utilizzo di vele solari ultraleggere potrebbe ridurre drasticamente il tempo e il carburante necessari per raggiungere Marte, aprendo nuove frontiere nell’ambito dell’esplorazione interplanetaria.

Gli scienziati, attraverso simulazioni avanzate, hanno calcolato che, sfruttando il meccanismo di propulsione delle vele solari, potremmo giungere sulla superficie Pianeta Rosso in soli 26 giorni. Questo rappresenterebbe un notevole balzo in avanti nei tempi necessari. Ma le sorprese non finiscono qui: secondo le stesse simulazioni, impiegheremmo solamente 5,3 anni per raggiungere l’eliopausa, il confine esterno del Sistema Solare, utilizzando lo stesso metodo di propulsione.

Le vele solari si differenziano dai tradizionali veicoli spaziali in quanto non richiedono carburante per il loro movimento. Invece, sfruttano la luce del sole, proprio come le vele di una barca catturano il vento mentre navigano sull’acqua. Nelle simulazioni, gli scienziati hanno considerato l’uso di vele realizzate con aerographite, uno dei materiali solidi più leggeri al mondo, con una densità 75 volte inferiore a quella del polistirolo.

Tuttavia, c’è una sfida da superare: una volta raggiunta la destinazione, rallentare un veicolo spinto da vele solari risulta estremamente difficile. Ma, ad ogni modo, la tecnologia delle vele solari dovrebbe trovare la sua prova definitiva già con il prossimo lancio del Solar Cruiser della NASA, previsto per il febbraio 2025.

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