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Lo scioglimento dei ghiacci nell'Artico potrebbe liberare virus "zombie" mortali: l'avvertimento degli scienziati del clima

Dallo scioglimento dell’Artico potrebbero emergere virus “zombie”: il pericolo arriva dal passato, ma le conseguenze possono colpirci oggi.

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Alessia Malorgio

Alessia Malorgio

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Sembrano usciti da un film post-apocalittico, eppure sono reali. Gli scienziati li chiamano “virus zombie”: microrganismi antichissimi, rimasti intrappolati per decine di migliaia di anni nel ghiaccio eterno dell’Artico. Ora, con lo scioglimento del permafrost causato dal riscaldamento globale, questi virus potrebbero tornare in vita. E secondo i climatologi, non è solo un’ipotesi affascinante per la narrativa scientifica, ma una minaccia concreta. Dietro il fascino misterioso di questi agenti patogeni dormienti si nasconde un potenziale rischio sanitario globale, che merita attenzione immediata.

L’importanza del permafrost e il rischio delle attività umane

Con l’accelerazione del riscaldamento globale, l’Artico sta diventando un laboratorio a cielo aperto per fenomeni che fino a poco tempo fa sembravano appartenere alla fantascienza. Tra questi, la possibilità che lo scioglimento del permafrost — il terreno perennemente ghiacciato delle regioni polari — possa liberare virus antichissimi, soprannominati “zombie”, che potrebbero rappresentare una minaccia per la salute globale.​

Il permafrost, presente in vaste aree della Siberia, dell’Alaska e del Canada, conserva al suo interno materia organica e microrganismi intrappolati da decine di migliaia di anni. Recenti studi hanno dimostrato che alcuni di questi virus, una volta scongelati, possono tornare attivi. Ad esempio, un team di scienziati ha riportato in vita un virus risalente a circa 48.500 anni fa, dimostrando la sua capacità di infettare amebe in laboratorio. ​

Va detto che molti di questi virus non rappresentano un pericolo immediato per l’uomo, ma gli esperti avvertono che il rischio non può essere ignorato del tutto. Il professor Jean-Michel Claverie dell’Università di Aix-Marseille ha sottolineato che, se virus che infettano amebe possono sopravvivere per millenni nel ghiaccio, non è da escludere che altri patogeni, potenzialmente pericolosi per l’uomo, possano fare lo stesso. ​

Il problema è aggravato dalle attività umane nell’Artico. La crescente industrializzazione, come le operazioni minerarie e le trivellazioni, può disturbare gli strati profondi del permafrost, aumentando il rischio di liberazione di agenti patogeni. Inoltre, l’aumento del traffico marittimo e lo sviluppo infrastrutturale nella regione facilitano la diffusione di eventuali virus emergenti.​

Un ulteriore pericolo è rappresentato dalle malattie zoonotiche, ovvero quelle trasmissibili dagli animali all’uomo. Molti dei virus potenzialmente liberati dal permafrost potrebbero avere questa caratteristica, rendendo più difficile il contenimento di eventuali focolai. La pandemia di COVID-19 ha mostrato quanto possa essere rapido e devastante il passaggio di un virus da una specie all’altra.​

L’avvertimento degli scienziati

Gli scienziati stanno quindi sollecitando l’implementazione di sistemi di monitoraggio nelle regioni artiche per rilevare tempestivamente la presenza di nuovi patogeni. La creazione di strutture di quarantena e l’adozione di misure preventive sono considerate essenziali per prevenire potenziali crisi sanitarie.​ Lo scioglimento del permafrost non è solo una questione ambientale, ma rappresenta anche una potenziale minaccia per la salute pubblica.

Il ritorno dei cosiddetti virus zombie non è soltanto una curiosità da laboratorio: è il simbolo inquietante di quanto il cambiamento climatico possa sconvolgere equilibri biologici millenari. Non sappiamo con certezza quali patogeni potrebbero riemergere né se saranno in grado di colpire l’uomo, ma ignorare questo rischio sarebbe irresponsabile. Il permafrost che si scioglie è un archivio del passato che, se liberato senza controllo, potrebbe scrivere nuovi e imprevedibili capitoli nel presente.

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