È la voce maschile della celebre sigla di Un Posto Al Sole, soap opera seguitissima in tutto il mondo che porta Napoli nelle case di ogni angolo del pianeta. Ma Carlo Mey Famularo si sente prima di tutto un cantautore con sei album all’attivo, un nuovo disco in lavorazione e un fresco singolo da poco in radio.
Soul Cafè – questo il titolo – è un brano che unisce la città partenopea a Cuba sulla scia della passione per il caffè che diventa metafora del rapporto sentimentale con una donna. Ci siamo fatti raccontare di più dallo stesso artista, a cui non potevamo non chiedere anche di Un Posto Al Sole.
Soul Cafè è il suo ultimo singolo, che fa incontrare Napoli e Cuba su un terreno comune, la tradizione del caffè. Come è nata questa idea?
Sono due città del Sud che, oltre ad avere in comune la latitudine, hanno entrambe la stessa nostra cultura del caffè. Anche i cubani, così distanti geograficamente da noi, hanno infatti la stessa nostra tradizione legata al caffè. Così, il parallelismo mi è venuto spontaneo considerando anche come gli spagnoli abbiano influenzato sia la nostra cultura sia quella cubana, musica compresa. Pensa a quanto si somiglino certi ritmi.
Al centro della canzone c’è una storia importante raccontata con poche parole, in cui uso la metafora del caffè per descrivere il rapporto con una donna. Dal profumo di una relazione che inizia al suo raffreddarsi. Ognuno poi dà una sua interpretazione, ma l’importante è che sia facile da memorizzare e cantare alla chitarra, così resta nella testa delle persone.
Sul piano musicale, quali sonorità sono confluite nella canzone e come vi avete lavorato?
Mi sono trovato a Cuba in vacanza e ho visto che lì usano molto le percussioni e un certo tipo di arrangiamenti che sono simili. Sono partito da quel tipo di discorso, come prima di me hanno fatto altri artisti, grandi nomi quali Pino Daniele e Tony Esposito. Max Marcolini, che lavora da dieci anni con Zucchero, ha prodotto Soul Cafè che farà parte del mio nuovo album di inediti.
Parlando di Napoli, è impossibile non citare Un Posto al Sole, la soap opera di cui è la voce maschile nella sigla. Si aspettava un tale successo?
Un Posto Al Sole è un vero successo planetario. Considera che viene vista in tutto il mondo grazie a Rai Italia e parliamo di circa 21 milioni di italiani raggiunti. Ogni giorno, la soap entra nelle casa delle persone e, con la serie, anche la sigla ha il record mondiale per longevità. Solo Beautiful è allo stesso livello, ma lì non si canta. Tutto è iniziato con il mio primo disco, ‘Spiritonero’, a cui stavo lavorando nel 1996. Avevamo questa canzone, ancora senza un titolo definitivo, e per l’occasione la presentammo per Un Posto Al Sole di cui è diventata la sigla scelta dalla Rai.
Ma, dica la verità, le è mai andato stretto il fatto di essere identificato come l’interprete maschile di quella sigla, per quanto importante?
Sì, da una parte mi sono sempre sentito penalizzato a essere considerato come “quello della sigla”. Sono un cantautore al sesto album, scrivo e produco anche per altri artisti e quindi la mia vera identità artistica è quella del cantautore. Poi, ho partecipato a una sigla che mi ha dato soddisfazioni e popolarità. È per questo che tengo al fatto di poter promuovere il mio lavoro grazie alla soap.
Per esempio, grazie a Un Posto Al Sole, sono stato invitato a New York al festival che viene organizzato per gli italiani e lì ho visto che tutta la gente conosceva quella sigla e tutti la cantavano. Anzi, erano felici di dare una faccia, la mia faccia, a una voce che sentivano da anni.
Nel corso della sua carriera, come ha visto cambiare la musica della sua terra? Oggi, tra l’altro, è molto importante la sua scena rap: cosa ne pensa?
Credo che Napoli, negli ultimi due anni, stia tornando alla musica dei cantautori. Il rap resta meno nella mente e nel cuore delle persone, mentre il cantautorato e la melodia resistono; non dobbiamo dimenticare di essere italiani. Il rap è importante ma la vera tradizione musicale dell’Italia arriva dal melodramma e dalla melodia, con testi semplici che restano, ieri come oggi. Oggi è sempre più importante la possibilità di ascoltare una canzone, poterla imparare in poco tempo e riprodurla poi con la chitarra, un come per tanti brani di Lucio Battisti.
A me piace la mediazione tra melodia e ogni tanto qualche tratto di rap o di parlato, ma senza trascurare l’italianità. Questo è quello che vogliamo fare: una musica d’autore che sia fruibile, facile e ascoltabile. In una parola, popolare.
Il lockdown, sul piano creativo, che tipo di periodo è stato?
È stato un periodo di riflessione durante il quale ho scritto tante cose nuove e ho sempre cantato per il pubblico dei social. Di sicuro il lockdown mi ha dato la possibilità di riflettere su tante cose; ci siamo accorti di non avere tanto tempo e queste settimane ci ha dato la possibilità di valutare le cose più preziose. L’aspetto negativo, ovviamente, è stato non potersi muovere, viaggiare e fare concerti.
E dopo la quarantena è arrivata Soul Cafè…
Devo dire che è nata facilmente. Ho iniziato a preparare il caffè come faceva mia madre che impiegava tanto tempo. Prima si sente salire piano piano il primo aroma, poi arriva il caffè come fosse un rito. E in queste settimane i più sensibili hanno capito che avere tempo è il regalo più grande che ci si possa fare. Dobbiamo tutti cercare di rivalutare il tempo e le cose più semplici.
Guardando avanti, invece, cosa ci sono in programma appuntamenti live, per quanto possibile?
Durante l’estate ci saranno alcuni eventi anche se saranno per un pubblico ridotto numericamente ma la cosa importante per me ora è lavorare al nuovo disco. A settembre, poi, farò anche qualcosa di TV con passaggi importanti. E ci sono le nuove puntate di Un Posto Al Sole, la cui sigla sarà contenuta come bonus track proprio nel mio prossimo album con un arrangiamento tutto nuovo.