Ormai viviamo in un’epoca nella quale i social network sono parte integrante della nostra vita quotidiana. Tuttavia, non tutti riescono a riflettere sempre sulle conseguenze legali che un semplice commento potrebbe avere. Tra risarcimenti che possono raggiungere cifre astronomiche e arrivare fino a 50mila euro, e diffide inviate direttamente dagli studi legali, il confine tra libertà di espressione e diffamazione è sempre più sottile. Lo dimostra il recente caso della schermitrice Elisa Di Francisca. Quanto siamo realmente consapevoli dei rischi che corriamo ogni volta che pubblichiamo qualcosa sui social? E, soprattutto, cosa rischiamo e quali parole ed emoji dovremmo evitare di usare?
- Il diritto alla difesa e il reato di diffamazione: attenzione a ciò che scrivete sui social
- Il caso Elisa Di Francisca: perché ha deciso di diffidare i commenti negativi
- Il servizio de Le Iene sugli insulti social: il metodo per ottenere un risarcimento
- Come funziona il sistema di richiesta di risarcimento per un commento di un hater?
- Quali parole si possono usare e quali invece no? Attenzione al filo della diffamazione
Il diritto alla difesa e il reato di diffamazione: attenzione a ciò che scrivete sui social
Andiamo con ordine e partiamo con il dire che ciascun individuo ha diritto a difendere la propria reputazione, personale o professionale, specialmente in un contesto sociale dove l’odio online è sempre più diffuso. Ovvero la rete. La diffamazione è un reato regolato dal Codice Penale italiano e consiste nell’offendere l’onore o la reputazione di una persona in presenza di più individui.
E da questo punto di vista, l’utilizzo dei social diventa un’aggravante. Quando un commento, un post o persino un’emoji vengono ritenuti discriminatori o comunque diffamanti, la vittima può decidere di avviare un’azione legale per richiedere un risarcimento.
In alternativa al procedimento penale, che richiede una querela entro tre mesi dall’evento, l’individuo colpito può optare per una risoluzione amichevole della controversia. Questa via prevede l’invio di una diffida da parte di un avvocato, accompagnata da una richiesta economica per evitare ulteriori sviluppi giudiziari.
Ovviamente, non tutti gli insulti hanno lo stesso peso. Per quantificare l’entità di un risarcimento – qualora si avvii un procedimento legale – il giudice considera diversi fattori, tra i quali la gravità dell’offesa, il mezzo di diffusione (i social, lo ricordiamo, rappresentano un’aggravante), la posizione sociale della vittima e l’impatto sulla sua vita privata e professionale. Ad esempio, i danni possono variare da mille euro per casi di lieve entità fino a 50mila euro per offese più gravi e pervasive.
Il caso Elisa Di Francisca: perché ha deciso di diffidare i commenti negativi
Ultimamente, a fare particolarmente rumore è stato il caso di Elisa Di Francisca, riportato in una Instagram Stories da Selvaggia Lucarelli, che ha scritto: “Anche Elisa di Francisca ha incaricato il solito studio per mandare lettere a commentatori, lettere in cui si chiede di cercare un accordo economico per evitare cause. Ignorate. Tra l’altro ho visto uno di questi commenti per cui è stata inviata una lettera. Era una critica più che educata. Che imbarazzo”.
La decisione di ricorrere alla diffida da parte dell’ex schermitrice, che fa direttamente delle richieste economiche a chi ha lasciato dei commenti negativi su di lei può sembrare controversa, ma è una pratica lecita. Gli avvocati, infatti, hanno il diritto di stimare un danno e proporre una risoluzione economica per evitare un processo lungo e costoso. Tuttavia, questo tipo di iniziativa può facilmente scivolare nella polemica, specialmente quando viene percepita come un modo per intimidire i commentatori.
Il servizio de Le Iene sugli insulti social: il metodo per ottenere un risarcimento
Tra l’altro, l’estate scorsa, in un servizio di Stefano Corti de Le Iene, un celebre influencer aveva rivelato al celebre programma Mediaset di aver incassato quasi 10mila euro negli ultimi tre mesi senza far nulla, ma grazie agli insulti ricevuti sui social.
Nell’occasione, l’avvocato Edno Gargano aveva parlato della questione, spiegando il metodo: “Nel momento in cui riusciamo a individuare il nome e cognome dell’hater, recuperiamo un certificato di residenza. Quindi si scrive una lettera chiedendo un risarcimento“.
Anche perché, lo vogliamo ricordare ancora una volta, i commenti lesivi rientrano nell’ambito dell’articolo 595 del codice penale, nel quale vengono definiti i termini della diffamazione.
Si tratta quindi di una richiesta di un risarcimento per diffamazione, i cui proventi vengono poi divisi tra la società che effettua la richiesta (in generale uno studio legale) e l’influencer.
Come funziona il sistema di richiesta di risarcimento per un commento di un hater?
Il sistema funziona così: chi denuncia una persona che lo ha offeso in rete non deve innanzitutto rispondere ai suoi commenti perché, aprendo un confronto, fa in qualche modo indebolire la propria posizione.
Ad ogni modo, anche gli insulti vecchi sono punibili, dato che la prescrizione, per la diffamazione, è di cinque anni. Quindi, gli avvocati spesso agiscono anche su insulti comparsi anni fa, chiedendo risarcimenti che vanno in genere dai mille ai duemila euro per ciascun messaggio. Ma, come abbiamo visto più recentemente, si arriva tranquillamente anche a diverse migliaia di euro.
In generale, la lettera di risarcimento inviata all’hater chiede di chiudere la questione con una richiesta di risarcimento al fine di non agire legalmente.
Si tratta essenzialmente di un modo per monetizzare sui commenti insultanti, dietro l’interesse della persona insultata che chiede che venga rispettata la sua dignità e di non venire diffamata.
Quali parole si possono usare e quali invece no? Attenzione al filo della diffamazione
Ricordiamoci che non tutti i termini negativi usati sul web sono considerati “diffamazione”. Ci sono ovviamente termini più gravi di altri che, nel momento in cui si utilizzano, possono oltrepassare i confini di questa fattispecie, dando alla persona lesa il diritto ad un risarcimento.
Quando si lascia un commento sui social, dunque, bisogna sempre fare intenzione agli insulti e alle parole infamanti. Come fu spiegato nel servizio de Le Iene, parole come “co..ione” e “figlio di…”, specie se utilizzate nella stessa frase, fanno in modo che l’insulto venga considerato più grave, facendo salire la cifra del risarcimento.
Ma cosa si può scrivere? E cosa invece no? Le parole da non utilizzare sono pressoché gli insulti, ovvero parole come “co..ione”, “scemo”, “imbecille”. Per la parola “ignorante“, invece c’è bisogno di una sorta di contestualizzazione, facendo sì che resti una parola “grigia”, talvolta passibile di richiesta di risarcimento, altre no. Praticamente, se la si usa per indicare una lacuna espressa da un influencer, non è infamante. Se invece la si utilizza per insultare gratuitamente, allora l’asticella del rischio si alza.
Poi, i commenti dispregiativi sull’aspetto fisico vengono a loro volta ascritti all’ambito del body shaming, quindi a loro volta sono inscrivibili nell’ambito della diffamazione. Attenzione quindi a quando si va a scrivere qualcosa sul look o sull’aspetto di una persona.
Sono passibili di denuncia e richiesta di risarcimento anche le emoji, soprattutto quelle dispregiative, come ad esempio le faccine che vomitano. Esse, infatti, specie se accompagnate ad un messaggio insultante, rafforzano la natura diffamatoria del gesto.
Al contrario, augurare la malattia o la morte non è diffamazione, quindi non è passibile di richiesta di risarcimento.
Per evitare di trovarti in una situazione simile, nel momento in cui commenti qualcosa sui social è fondamentale adottare un linguaggio rispettoso e ponderato. Evita assolutamente gli insulti diretti o velati, ovvero qualsiasi frase o termine che possa essere interpretato come offensivo può essere considerato diffamazione. Stai anche lontano dalle accuse infondate: se non puoi dimostrare la veridicità di un’accusa, meglio non scriverla. Quanto alle emoji denigratorie, ricorda che anche un semplice gesto virtuale può essere interpretato come un attacco. Evita di usarle, specie se accompagnate ad un messaggio già problematico.