In un servizio di Stefano Corti, un celebre influencer ha rivelato a Le Iene di aver incassato quasi 10mila euro negli ultimi tre mesi senza far nulla, ma grazie agli insulti ricevuti sui social. Ma in che modo avviene questa possibilità di monetizzazione? Cosa si rischia per un commento sferzante? E, soprattutto, cosa si può dire e cosa non si può dire sui social?
- Commenti sui social: attenzione a cosa scrivi, puoi essere sanzionato
- Quali parole si possono usare e quali invece no? Attenzione al filo della diffamazione
- Come funziona il sistema di richiesta di risarcimento per un commento di un hater?
Commenti sui social: attenzione a cosa scrivi, puoi essere sanzionato
Andiamo con ordine e partiamo dal principio. L’avvocato Edno Gargano ha parlato della questione a Le Iene, spiegando il metodo: “Nel momento in cui riusciamo a individuare il nome e cognome dell’hater, recuperiamo un certificato di residenza. Quindi si scrive una lettera chiedendo un risarcimento“.
Anche perché, ricordiamolo, i commenti lesivi rientrano nell’ambito dell’articolo 595 del codice penale, nel quale vengono definiti i termini della diffamazione.
Si tratta quindi di una richiesta di un risarcimento per diffamazione, i cui proventi vengono poi divisi tra la società che effettua la richiesta (in generale uno studio legale) e l’influencer.
Quali parole si possono usare e quali invece no? Attenzione al filo della diffamazione
Ci sono quindi termini più gravi di altri che, nel momento in cui si utilizzano, possono oltrepassare i confini della diffamazione.
Bisogna sempre fare intenzione agli insulti e alle parole infamanti. Parole come “co..ione” e “figlio di…”, specie se utilizzate nella stessa frase, fanno in modo che l’insulto venga considerato più grave, facendo salire la cifra del risarcimento.
Ma cosa si può scrivere? E cosa invece no? Le parole da non utilizzare sono pressoché gli insulti, ovvero parole come “co..ione”, “scemo”, “imbecille”. Per la parola “ignorante“, invece c’è bisogno di una sorta di contestualizzazione, facendo sì che resti una parola “grigia”, a volte passibile di richiesta di risarcimento, altre no. Praticamente, se la si usa per indicare una lacuna espressa da un influencer, non è infamante. Se invece la si utilizza per insultare gratuitamente, allora l’asticella del rischio si alza.
Poi, commenti dispregiativi sull’aspetto fisico vengono a loro volta ascritti all’ambito del body shaming, quindi a loro volta sono inscrivibili nell’ambito della diffamazione. Attenzione quindi a quando si va a scrivere qualcosa sul look o sull’aspetto di una persona.
Sono passibili di denuncia e richiesta di risarcimento anche le emoji, soprattutto quelle dispregiative, come ad esempio le faccine che vomitano. Esse, infatti, specie se accompagnate ad un messaggio insultante, rafforzano la natura diffamatoria del gesto.
Al contrario, augurare la malattia o la morte non è diffamazione, quindi non è passibile di richiesta di risarcimento.
Come funziona il sistema di richiesta di risarcimento per un commento di un hater?
Il sistema funziona così: chi denuncia una persona che lo ha offeso non deve innanzitutto rispondere ai suoi commenti perché, aprendo un confronto, fa in qualche modo indebolire la situazione.
Ad ogni modo, anche gli insulti vecchi sono punibili, dato che la prescrizione, per la diffamazione, è di cinque anni. Quindi, gli avvocati spesso agiscono anche su insulti comparsi anni fa, chiedendo risarcimenti che vanno dai mille ai duemila euro per ciascun messaggio.
In generale, la lettera di risarcimento inviata all’hater chiede di chiudere la questione con una richiesta di risarcimento al fine di non agire legalmente.
Si tratta essenzialmente di un modo per monetizzare sui commenti insultanti, dietro l’interesse della persona insultata che chiede che venga rispettata la sua dignità e di non venire diffamata.