Venticinque anni senza Fabrizio De André. L’11 gennaio 1999, infatti, ci lasciava il grande cantautore genovese.
La storia di Fabrizio De André
Un mese prima di compiere 59 anni, Faber morì all’Istituto dei tumori di Milano, dove era ricoverato per l’aggravarsi di un carcinoma polmonare. Le canzoni, però, sono immortali: i suoi brani, da “La guerra di Piero” a “La canzone di Marinella”, passando per “Bocca di Rosa”, “Il Pescatore” e “La Canzone dell’Amor Perduto”, sono pagine indelebili della musica italiana.
In trent’anni di attività discografica, dal 1966 al 1996, Fabrizio De André ha realizzato 14 album (da “Tutto Fabrizio De André” a “Anime Salve”), divenuti nel tempo dei capisaldi della discografia italiana.
A distanza di venti anni dalla morte del cantautore genovese, il mito di Fabrizio De André resiste ancora oggi, come testimoniato, tra gli altri, dal film “Fabrizio De André – Principe libero”, basato sulla vita dell’artista ligure (interpretato sul piccolo schermo dall’attore Luca Marinelli).
L’origine del soprannome ‘Faber’
Tanto si è detto e scritto su Fabrizio De André, sia quando era ancora in vita sia in questi anni dopo la sua morte, ma rimangono ancora alcune curiosità attorno alla sua vita e alla sua carriera. Forse, infatti, non tutti conoscono l’origine del soprannome Faber, che è molto più di un semplice diminutivo del nome Fabrizio e che rivela un retroscena sulla vita privata dell’artista.
Il soprannome Faber con cui è universalmente riconosciuto Fabrizio De André è stato coniato da Paolo Villaggio, conterraneo e grande amico del cantautore genovese. Il nome fa riferimento ai Faber-Castell, pastelli colorati e matite (ancora oggi comunemente utilizzati), di cui De André era un grande amante.
L’amicizia tra Fabrizio De André e Paolo Villaggio è stata lunga, profonda e duratura. Così, l’attore (scomparso il 3 dicembre 2017) descriveva il suo rapporto con l’amico cantautore: «Ho conosciuto e frequentato Fabrizio da quando aveva quattro anni e l’ho perso di vista quando è morto. […] In particolare dal ’56 in poi è stato una frequentazione strettissima, per vent’anni ci siamo visti tutti i giorni».
E ancora: «Gli hanno appioppato questa immagine dell’uomo serio per via del suo volto un po’ ombroso ma era una cosa del tutto infondata. Era invece molto simpatico e intelligente».