Il mondo del cinema piange la morte di Umberto Lenzi, grande regista, sceneggiatore e scrittore italiano. Classe 1931, si era diplomato al Centro sperimentale di cinematografia con una pellicola intitolata “I ragazzi di trastevere”. In seguito aveva iniziato la sua carriera cinematografica realizzando alcuni film di cappa e spada e ispirati ad Emilio Salgari, fra cui il celebre “I pirati della Malesia” con Steve Reeves.
Il grande successo della saga di “007” lo portò a creare film ispirati alla figura di James Bond, come “Superseven chiama Cairo” e film di guerra, particolarmente apprezzati da Quentin Tarantino, suo grande fan che gli ha reso omaggio in “Bastardi senza gloria”.
Fra i suoi film più famosi, entrati nella storia, troviamo “Il grande attacco”, con protagonisti Henry Fonda e John Huston, ma anche “Attentato ai tre grandi”, che raccontava la storia di alcuni soldati tedeschi che dovevano uccidere Churchill, Roosevelt e De Gaulle.
Il vero successo però arrivò grazie al giallo e all’invenzione di un sottogenere davvero geniale: il giallo erotico, che spopolò negli Stati Uniti. Celebre la trilogia che ha segnato la carriera di Umberto Lenzi composta da “Orgasmo”, “Così dolce… così perversa” e “Paranoia”.
La vera e propria consacrazione però fu nel 1973 con “Milano rovente”, che diede il via alla sua filmografia poliziesca. Musica funky e uno stile caratterizzato da rapide zoomate, hanno reso Umberto Lenzi uno dei più grandi maestri del cinema italiano, un precursore e un grande genio.
Fra i film da ricordare troviamo “Milano odia: la polizia non può sparare”, del 1974, con protagonista Tomas Milian, e “Roma a mano armata” con Maurizio Merli. In “Il trucido e lo sbirro” creò il personaggio di Er Monnezza, interpretato da Milian.
Ironico e senza peli sulla lingua, aveva conosciuto proprio sul set l’amore della sua vita, la bellissima attrice Olga Pehar. “La conobbi sul set – aveva raccontato qualche tempo fa -. A quel tempo i nostri film avevano due versioni: una per l’Italia, molto castigata per via dell’occhiuta presenza andreottiana; una disinibita e osé per l’estero. Accompagnavo quest’ultima con un grido liberatorio: “Giù le mutande!”. Era un modo di dire. Ma Olga non capì, si offese e scappò via dal set. La inseguii per mesi. Ne persi le tracce”.