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Il "libro più disgustoso del mondo": riesci a indovinare di cosa è fatto?

Scoperto in un museo inglese un secondo libro rilegato con la pelle di un famigerato assassino dell’Ottocento

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Alessia Malorgio

Alessia Malorgio

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Una scoperta tanto macabra quanto affascinante arriva dal Moyse’s Hall Museum di Bury St Edmunds, nel Suffolk (Regno Unito). All’interno dell’ufficio del museo è stato infatti ritrovato un secondo libro rilegato con la pelle umana del celebre assassino William Corder, uno dei criminali più noti della storia britannica del XIX secolo.

Il caso, conosciuto come il “Delitto del Fienile Rosso” (Red Barn Murder), sconvolse l’opinione pubblica georgiana nel 1827, diventando presto oggetto di libri, spettacoli teatrali e successivamente anche di film.

Il delitto che scosse la Gran Bretagna georgiana

William Corder venne impiccato l’11 agosto 1828, dopo essere stato condannato per l’omicidio della sua amante, Maria Marten. Secondo le cronache dell’epoca, Corder aveva convinto la giovane a incontrarlo nel celebre Red Barn di Polstead, promettendole una fuga d’amore verso Ipswich dove si sarebbero sposati. In realtà, l’uomo le sparò e seppellì il suo corpo sotto il pavimento del fienile.

Corder fu arrestato poco dopo, processato e condannato a morte. Dopo la sua esecuzione pubblica, alla quale assistettero migliaia di persone, il suo corpo venne dissezionato e una parte della sua pelle venne utilizzata per rilegare un libro che raccontava proprio la storia del crimine e del processo.

La scoperta del secondo volume

Il primo libro rilegato con la pelle di Corder è esposto al Moyse’s Hall Museum sin dal 1933. Tuttavia, nel 2023, un secondo esemplare è stato scoperto per caso su una mensola dell’ufficio del museo. Questo secondo volume, anch’esso dedicato al caso Corder, presenta inserti in pelle umana sul dorso e agli angoli, e secondo gli esperti sarebbe stato realizzato con ritagli avanzati della pelle del condannato.

Dan Clarke, responsabile del patrimonio presso il museo, ha dichiarato che si tratta di un ritrovamento di grande importanza storica, nonostante la sua natura inquietante. Il secondo libro, oggi esposto accanto al primo, sarebbe stato donato decenni fa da una famiglia che aveva legami con il chirurgo che effettuò l’autopsia su Corder.

Una pratica macabra ma diffusa: l’antropodermia

Il caso Corder non è isolato nella storia della rilegatura libraria. La “anthropodermic bibliopegy”, ovvero la pratica di rilegare libri con pelle umana, era più diffusa di quanto si pensi nel XIX secolo, soprattutto nel Regno Unito e in Francia. In molti casi, la pelle proveniva da criminali giustiziati, come forma di ulteriore punizione post mortem, oppure veniva utilizzata dai medici come souvenir anatomici.

Recentemente, nel marzo 2024, anche l’Università di Harvard ha rimosso dai suoi archivi un libro rilegato con la pelle di una donna morta in un ospedale psichiatrico francese, riconoscendo le problematiche etiche e storiche legate alla conservazione di simili reperti.

Reazioni e controversie

Nonostante l’interesse storico, non tutti vedono di buon occhio l’esposizione di questi oggetti. Terry Deary, autore della celebre collana educativa Horrible Histories, ha definito i volumi come “artefatti disgustosi“, aggiungendo che per molti criminali dell’epoca la dissezione post mortem era persino più temuta della forca.

Eppure, il museo non ha mai ricevuto lamentele da parte del pubblico. “In ogni museo del Regno Unito si trovano resti umani esposti, sotto forma di ossa, mummie o reliquie. Questi libri vanno inseriti in quel contesto storico e museale”, ha commentato Clarke. Anche Abbie Smith, assistente al patrimonio, ha sottolineato come “se non venisse detto esplicitamente, pochi visitatori noterebbero che quei volumi sono rilegati con pelle umana”.

Una storia che continua a far discutere

A quasi due secoli dal fatto di sangue che sconvolse il Suffolk, il nome di William Corder continua a suscitare interesse e controversia. Il ritrovamento del secondo libro non fa che alimentare il fascino oscuro attorno a questa vicenda, ricordandoci come, anche nella conservazione della memoria storica, il confine tra documentazione e morbosità sia spesso sottile.

Il Moyse’s Hall Museum ha deciso di esporre entrambi i volumi insieme, non solo come testimonianza di un crimine celebre, ma anche come spunto di riflessione su come la giustizia, la medicina e la memoria pubblica si intrecciassero nell’Inghilterra del XIX secolo.

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