La locuzione di ampio uso popolare “di sana pianta” è ampiamente diffusa sia nel linguaggio scritto che verbale. È comune sentirla usata in connessione con l’inizio di qualcosa, spesso accompagnata da verbi come “iniziare”, “rifare” e “inventare”. La lingua italiana è notevolmente affascinante, ricca di modi di dire intriganti e di parole sofisticate per descrivere specifici contesti o attività. Queste espressioni idiomatiche, comunemente utilizzate nella comunicazione di oggi, hanno radici nella storia, nei detti popolari di origine folcloristica e nelle influenze linguistiche straniere.
Tutti questi aspetti si collegano al significato dei modi di dire, e in questo caso, possiamo affermare che “inventare qualcosa di sana pianta” non nasconde alcun significato occulto; piuttosto, viene utilizzato per indicare un nuovo inizio. Questa locuzione può essere impiegata in vari contesti, come in ambito lavorativo, universitario, nella costruzione di una casa o per rappresentare un cambiamento interiore profondo, un’autentica rinascita. Spesso, tuttavia, le origini di queste espressioni straordinarie rimangono oscure e confuse, rendendo difficile risalire alle loro radici.
Cosa vuol dire di sana pianta?
Ed eccoci a dipanare la matassa delle origini di questo termine così diffuso. E per farlo dobbiamo servirci della locuzione latina “ex novo”, che letteralmente significa “nuovo”, ma nel suo utilizzo è più simile a “nuovamente” o “di nuovo”. Tuttavia, ci sono alcune differenze. Mentre “di nuovo” e “nuovamente” indicano “ancora una volta” o “un’altra volta”, con una ripetizione, “ex novo” ha un significato leggermente diverso e può essere sostituito da “daccapo” o “dall’inizio”. Questo termine è spesso usato nel contesto lavorativo per indicare che qualcosa deve essere fatto nuovamente dall’inizio, senza necessariamente implicare un errore precedente. D’altra parte, “daccapo” è più informale e denota impazienza rispetto a qualcosa che è stato fatto male.
Di sana pianta è un’espressione simile a daccapo ed ex novo, che significa iniziare qualcosa dall’inizio o ricominciare completamente. È spesso usata in modo informale per esprimere insoddisfazione o impazienza. Anche “da capo a dodici” è un’espressione simile con lo stesso significato.
Perché si dice: “Di sana pianta”?
L’origine dell’espressione “inventare o iniziare qualcosa di sana pianta” non è definita con certezza, ma possiamo formulare alcune ipotesi analizzando il significato della frase. La parola “pianta” è ben conosciuta, soprattutto in Italia, perché il nostro paese è popolato di grandi appassionati e professionisti di giardinaggio e del regno vegetale, che comprende alberi, erbe, cespugli e altro. Tuttavia, l’uso dell’aggettivo “sana” può suscitare qualche dubbio poiché ha diversi significati, tra cui la salute di una persona, il modo di vivere o lo stato di un oggetto o un bene.
Nelle regioni del sud Italia, il termine “sana” è spesso sinonimo di “integra“. Avventurandoci in un’ipotesi, potremmo associare questa parola agli agricoltori e ai loro modi di dire. Una pianta è considerata “sana” quando cresce solamente da un seme di un’altra pianta, rinnovando così il ciclo della vita e contrastando l’uso di talee e tecniche di innesto, che estendono una fase già in corso. In questo contesto, i verbi “iniziare” o “inventare” diventano sinonimi di creare qualcosa da zero in modo autentico e originale, riflettendo perfettamente l’idea di “sana pianta”.
Altri modi di dire sulle piante: ‘cadere a fagiolo’, ‘brodo di giuggiole’
E non ancora tutto per quanto riguarda, locuzioni popolari e modi di dire. Ora risaliamo all’origine di un altro detto, brodo di giuggiole, che ci porta nel Seicento italiano, visto che questa espressione veniva già citata nel primo dizionario di lingua italiana. Anzitutto la giuggiola è un frutto, molto simile al dattero, di colore rossastro non molto comune, ma l’uso antico, “andare in brodo di giuggiole” è un’espressione figurata che significa uscire quasi di sé dalla contentezza, la cui origine è un’alterazione dell’espressione di provenienza toscana “andare in brodo (o broda) di succiole”. Questa espressione compare nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612), dove viene menzionata due volte, ma la trasformazione da succiole a giuggiole, si ipotizza sia avvenuto a causa della diffusione in medicina, come decotti contro la tosse e altre malattie delle vie respiratorie, ed in cucina, per la preparazione di prelibate marmellate e confetture. L’origine del termine, dunque, risale alla contentezza per la bontà dei frutti menzionati ed anche oggi è molto utilizzata nel linguaggio comune, per esprimere uno stato d’animo particolarmente positivo.
E passiamo ora all’altra espressione di uso comune, cioè cadere a fagiolo o cascare a fagiolo, a cui si ricorre per indicare una situazione non prevista che avviene però in un momento ideale, così come l’arrivo di una persona al momento giusto, o ancora un oggetto che capita tra le mani, nel preciso momento in cui ne nasce il bisogno. Ma esiste anche una variante con il verbo andare, usata quasi esclusivamente alla terza persona singolare, “va a fagiolo”, solitamente usato in relazione ad un oggetto adatto ad un determinato scopo.
Le ipotesi sono diverse e lasciano presupporre che l’espressione si sia diffusa attorno al XV secolo, anche in questo caso in Toscana: la prima testimonianza certificata del suo uso nell’italiano scritto è rintracciabile nel Dizionario della lingua italiana del Tommaseo, dove si ipotizza che l’espressione cadere a fagiolo derivi “dal dirsi comunemente che ai Fiorentini piacciono molto i fagiuoli”.
Un’altra teoria, invece, è legata al mondo contadino, perché un tempo i fagioli venivano raccolti quando erano molto maturi: in quella fase, infatti, bastava toccarli appena e i fagioli si staccavano dalla pianta. Cadere a fagiolo, dunque, avrebbe assunto il significato di qualcosa ottenibile facilmente e senza particolare sforzo.