Come agisce il batterio “vampiro”
Il batterio si sposta rapidamente verso le fonti di sangue, aumentando il rischio di gravi infezioni. Gli scienziati credono che comprendere questo meccanismo possa portare allo sviluppo di nuovi trattamenti per prevenire le infezioni sistemiche. La scoperta offre la possibilità di creare farmaci mirati che possano bloccare l’attrazione dei batteri verso il sangue, migliorando notevolmente la gestione delle infezioni in contesti clinici.
Questa ricerca è particolarmente significativa poiché il comportamento dei batteri “vampiri” è stato osservato in laboratorio, indicando che l’ambiente interno del corpo umano potrebbe essere un terreno fertile per tali infezioni. Gli studi continuano a esplorare come queste scoperte possano essere applicate per sviluppare terapie più efficaci contro le infezioni batteriche, riducendo il ricorso agli antibiotici e prevenendo la resistenza batterica.
Strana collaborazione tra due virus
Cosa può significare
Nel caso scoperto dai ricercatori dell’Università americana a rivelarsi interessante, non è stato il rapporto che i fagi hanno con le loro prede, i batteri, ma piuttosto quello sviluppato tra loro. Invece di concentrarsi sulla dinamica tra fagi e batteri, la ricerca si è focalizzata su una collaborazione insolita tra due virus stessi: MiniFlayer (il virus difettivo) e MindFlayer (il virus helper).
Contrariamente a quanto noto, in cui alcuni virus dipendono da altri per replicarsi, MiniFlayer e MindFlayer stabiliscono un legame fisico senza precedenti. L‘80% dei virus analizzati mostrava un virus difettivo attaccato in una zona chiamata collare, un elemento distintivo dei batteriofagi. Anche nei restanti 20% di virus helper, privi di un virus difettivo collegato al collare, erano visibili segni, interpretati come “segni di morso”, suggerendo un collegamento precedente con un virus difettivo. Quasi come se fosse un virus vampiro in grado di “mordere”.
È noto nella scienza, che alcuni particolari virus sfruttino altre particelle virali per infettare le cellule: questa prima categoria di virus sono definiti virus difettivi, mentre i secondi si chiamano “helper”. Solo per fare un esempio di un virus molto noto, quello dell’epatite D, un piccolo virione che necessita della compresenza di un virus dell’epatite B per potersi replicare. In questi casi già esaminati e noti, il virus difettivo sfrutta il capside di quello helper, cioè l’involucro proteico che racchiude il suo acido nucleico o i suoi meccanismi di replicazione.
La caccia del virus “vampiro”
In realtà l’analisi del genoma dei MiniFlayer ha rivelato l‘assenza di geni necessari per la moltiplicazione all’interno delle cellule batteriche e per l’integrazione con il genoma batterico. I ricercatori, dunque, ipotizzano una strategia di caccia unica nel suo genere: MiniFlayer entra nelle cellule in attesa dell’arrivo di MindFlayer, al quale si collega per completare il ciclo di replicazione. Questa scoperta apre nuove prospettive nella microbiologia, suggerendo che molti campioni di batteriofagi precedentemente considerati contaminati, potrebbero in realtà essere sistemi simili, composti da un virus difettivo e un virus helper. Il lavoro dei ricercatori potrebbe portare alla scoperta di ulteriori casi di questa collaborazione unica nel suo genere, sfidando e ridefinendo le attuali conoscenze nel campo virale.